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mercoledì 29 luglio 2015

464 - SCUOLA E PISTOLA

Quando andavo a scuola avevo passato i 18 anni, mi ero tenuto la barba, avevo due orecchini dorati fatti a forma di stella sull'orecchio sinistro, mi pettinavo i capelli all'indietro, indossavo un vecchio cappotto lungo blu che era di mio padre e con una piccola cartella nera mi recavo a scuola a bordo di una vetusta fiat 500 gialla di 15 anni e con svariati chilometri sul groppone.
Era inverno e ci avevano trasferito in una sede distaccata, notai che quelli delle prime classi vedendomi arrivare in macchina e conciato così quando passavo si intimorivano, mi dicevano buongiorno, evidentemente pensavano fossi un insegnante, dissi loro: "Andate in classe ad aspettare l'arrivo del vostro insegnante, non sostate nei corridoi".
Loro ci andarono, dopo un paio di volte quando mi videro arrivare sapendo che li mandavo dentro andarono già autonomamente tutti in classe, allora mi affacciai sulla porta dell'aula e urlai: "Spalancate le finestre, arieggiate i locali prima di soggiornarvi".
Mi uscì così casualmente la frase, l'avevo letta su un qualche barattolo di spray insetticida.
Loro si lamentarono che c'era freddo ad aprire, dissi di mettersi i giubbotti, aprire dieci minuti e poi chiudere prima che arrivasse l'insegnante, così trovava l'aula con l'aria rinnovata che cominciava a scaldarsi, mi ascoltarono, in pieno inverno col ghiaccio si rimisero i giubbotti e spalancarono le finestre, glielo dissi anche all'altra aula di prima accanto e pure loro fecero come gli altri.
Il giorno successivo li vidi in classe con le finestre chiuse, allora mi affacciai sulla porta a dire di aprire le finestre, mi guardarono risentiti, dicendomi che l'insegnante si era arrabbiato e voleva dare una nota a tutta la classe per aver spalancato le finestre col freddo, e anche nella prima accanto la loro insegnante di italiano aveva dato per punizione un sacco di roba da studiare, perché anche lei si era arrabbiata per il freddo.
Commentai: "Che insegnanti smidollati".
Una mi chiese che materia insegnavo, gli dissi: "Ma ti sembra che io sia un insegnante?"
"Sì, credevo che lei fosse un insegnante".
"Non credere mai perché ti sbaglierai sempre, io apprendo e basta, sono qui per quel motivo e non insegno niente a nessuno".
Mi guardò perplessa.
Era un sabato, al pomeriggio mi ruppi le palle di andare in giro vestito così, mi lasciai i capelli sulle spalle, mi tagliai la barba e mi misi un giaccone scamosciato da navajo con le frange che avevo trovato per poche lire. Ora sembravo un nativo americano.
Passando davanti a un negozio di giocattoli vidi che c'era una svendita totale, c'erano pistole e stelle da ranger, mi comprai una pistola in metallo e anche una stella di latta da ranger; la stella me l'appuntai sul giaccone  e la pistola la misi in una grande tasca interna.
La pistola mi divertiva perché sembrava vera, ma il motivo recondito era di usarla per il pesante calcio in caso di lite, poiché c'era un grassone più grande e grosso di me, mezzo fascista e mezzo idiota, con cui scaturivano spesso scintille perciò volevo essere certo di abbatterlo con ogni mezzo in caso di lite, anche a costo di sfondargli la faccia col calcio della pistola, quindi mi faceva comodo, e in quel periodo la tenni sempre con me, a portata di mano.
Arrivai a scuola il lunedì successivo messo così, quando mi videro passare per il corridoio i ragazzini mi guardarono stupiti, sembravo uscito da un film western, in aggiunta col tocco demenziale dell'essere vestito da indiano con la stella da ranger.
Vidi che alcuni andarono verso la bidella a chiedere lumi sullo strano individuo, notai mentre mi allontanavo che lei spiegava accalorandosi, prevedibilmente visto che le stavo sullo stomaco per vari atti sconsiderati di vandalismo che avevo compiuto in passato.
Il giorno successivo quando passai di lì uno che sembrava il bulletto capobranco galletto del pollaio mi disse : "Non romperci più i coglioni, lo sappiamo che sei il matto che fa la quarta e si veste come se fosse carnevale tutto l'anno".
Mi voltai di scatto, tirai fuori la pistola in un lampo, gliela puntai bruscamente sotto la gola, premendo la canna d'acciaio contro la pelle e dicendo con voce roca:
"Entro la prossima luna io avrò il tuo scalpo".
Ci fu un silenzio generale, credevano fosse vera.
La puntai verso il soffitto, tirai il grilletto, fece click, feci un sorriso.
Scoppiarono tutti a ridere, anche il galletto che disse:
"Ma sei proprio completamente pazzo."
"Si sono un pazzo, ma lo so e lo faccio per divertirmi, invece voi che ve ne siete accorti dopo giorni e credevate fossi un insegnante siete dei ritardati mentali".
Smisero di ridere, tutti.
Rimisi la pistola nella tasca interna del giaccone e andai verso la mia aula, con la consapevolezza che ormai ero come un treno spento quando va avanti per inerzia su un binario morto.
Quelle sarebbero state le ultime settimane di scuola.




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