Se apprezzate e volete offrirmi una birra o una pizza, vi ringrazio immensamente:

martedì 30 dicembre 2014

408 - ESSERE NELLE FOTO

Il futuro è sparito,
il passato è perso
e il presente è
in foto sparpagliate,
in occhi dietro monitor e e finestre,
in facce in posa davanti agli specchi,
fotografandosi
per essere avere,
sorridendo a tutti ma a nessuno,
cercandosi una faccia massmediabile
per personificarsi in un'offerta
imperdibile.

Nel frattempo, per la strada,
ogni cane randagio caga molto
sul marciapiede
e la sua merda aspetterà
ogni tuo futuro
passo falso.







407 - IL CANE VECCHIO

Ho il cane vecchio con la cataratta a entrambi gli occhi, pure io ho un inizio di cataratta, e vaghiamo così tra campi e spiagge, lui quasi cieco e io che faccio da cane guida a lui, lo tiro da una parte o dall'altra per fargli evitare gli ostacoli. Se lo lascio libero finisce nelle buche, si pianta i rami addosso, sbatte contro ogni ostacolo.
Un giorno sono andato a pisciare in spiaggia dietro a un cespuglio e tornando non trovo più il cane, lo cerco andando verso una direzione, poi verso l'altra; niente non c'è. Dopo oltre mezz'ora mi avvio per tornare a casa senza cane, ma vedo da lontano un gigante dell'est, tipo un wurstel di circa 2 metri ben oltre il quintale, pieno di grasso e con gli occhiali cammina accompagnandosi con 2 bastoni ed è seguito a distanza da un cane bianco, vado nella sua direzione e vedo che è il mio cane. L'insaccato mi guarda male, io lo guardo male, perché vedendo che il cane lo segue impaurito mi immagino che lo abbia minacciato o menato con uno dei suoi bastoni del cazzo poiché si avvicinava credendo fossi io; chiamo il cane e gli metto il guinzaglio.
Il wurstel gigante si allontana silenzioso, la voglia di prendere un ramo depositato sulla spiaggia e spaccargli la faccia la reprimo a fatica.
Ho ritrovato il mio cane vecchio e semicieco, tutto va bene.

venerdì 26 dicembre 2014

406 - VAGARE

Guardo i volti passanti
offerti sofferti
tra ciottoli antichi
sotto i piedi
tra alberi tollerati
sopra la testa
il sole sbatte sulle facce
e ci attraversa
mentre io attraverso persone,
entro ed esco da un bar
lasciando due tracce di saliva
e un sorriso di circostanza
tra i seni della barista
che mi sfuggono
cercando di fermare il tempo
compro un quotidiano
e due monete di resto
mi faranno compagnia,
mentre siedo sulla panchina
mi chiedo se esisto
leggo il giornale
lasciandolo con le mani
guardandolo sparpagliarsi
nel vento nel viale
tra ciottoli e alberi.

Mi alzo e ritorno
vagante
tra le parole disperse
e i volti offerti
calpesto i discorsi già scritti,
poi prendo le monete in tasca
me le getto alle spalle,
tentando di perdere le zavorre,
tentando di arrampicarmi sugli alberi,
penso:
ho visto troppo
per essere felice,
ho vissuto troppo poco
per poter morire
in ogni momento passato.

Intanto tra le gambe
rimembro la perfezione
dei seni della barista,
e sto meglio.








405 - LE PREVEDIBILI AVVENTURE DELL'UOMO-SANDWICH

Nelle strade vagano
troppi sandwich pubblicitari
generati dagli spot,
che pagano
per poter esibire i marchi.

Chiedo loro in che via si svolge
la cagata del giorno
- Segui il flusso - mi dicono.

Ringrazio e vado
in direzione contraria,
mi volto,
guardo la folla di spalle
chiedendomi come e perché
scoprendo che non esiste un senso
per ogni idiozia
per ogni morto dentro
per ogni pensiero perso
per tutti i minuti sprecati
tentando di vivere
il nulla indotto.

Mi giro verso la mia direzione
e noto,
finalmente,
qualcosa di meraviglioso
che non c'era mai stato
anche se c'era da sempre.




sabato 20 dicembre 2014

404 - VINCENTI

I vincenti
hanno
come premio un sacco di pelle,
pieno di ossa e carne
che per comodità chiameremo corpo,
viene loro concesso di usarlo
per poche ore la settimana,
chiamate ore di svago,
tutto il resto del tempo
il loro corpo è riservato
in esclusiva alla società
che ha permesso loro di essere
vincenti.
E chi protesta diventerà un perdente.

Woman in the Sun - Edward Hopper

403 - DISIMPARATE

Non comprate libri,
non leggete giornali,
non informatevi,
non imparate niente di nuovo,
così il benessere vi pervaderà,
sarete contenti
se vedrete la foto di un gattino carino su Facebook,
riderete a crepapelle
con i programmi televisivi più stupidi,
e felici ed entusiasti
se vi permetteranno una volta alla settimana
di avere degli spiccioli per comprarvi una pizza da asporto
ringrazierete i vostri carnefici.
Fate così,
restate sempre
buoni e zitti
senza protestare né pensare.
Vivrete bene,
da poveri stronzi ma bene.



giovedì 18 dicembre 2014

402 - in ogni oggi

Bombardamenti devastanti
percepiti mediaticamente
silenziosi e sexy
mentre le pietre certezze
si frantumano
tra le mani
rimane
solo il vuoto esistenziale
e così attraverso
la nostra bufera
di tempi vuotamente gioiosi
cercando almeno un motivo
per questa obbligatoria
nevrastenica generica allegria
insensata
che ci fa sempre avanzare
indifferenti
oltre ogni baratro
pensando solamente al nuovo
entusiasmante, sorprendente, appagante
mesto nuovo acquisto
da gettare quasi subito
tra i rifiuti
col nostro tempo
perso.


401 - l'amo

Amo l'amore
anche fosse solo amore per un amo
o in generale,
ma soprattutto
amo te qui con me,
amo tenerti tra le braccia
penetrarci parlarci
riderci raccontarci
significarci
viverci.
Però poi non sopporto
le parole inutili
esibizioni
in poesie sull'amore
ripetutamente insignificanti,
compresa l'ennesima:
questa.


martedì 16 dicembre 2014

400 - ADORO

Adoro l'ignoranza
quando
non è sovrascritta da mezzi di comunicazione
l'ignoranza pura
semplice
elimina la civiltà
senza i suoi marchi di appartenenza
c'è l'estasi dagli occhi
guardando un mondo
sempre nuovo
in assenza di filtri mentali
puramente, liberamente:
adoro l'essere bestiali.



sabato 13 dicembre 2014

399 - il negozio di mio nonno

Mio nonno aveva un negozio in cui non andava quasi nessuno, attendeva di avere gli anni per maturare la pensione perciò teneva aperto anche con un cliente alla settimana, quando andava bene.
Con un desolato neon che illuminava nel negozio semivuoto delle ciabatte fuori moda da decenni, dei vestiti da mondina anni 50 e dei cappelli con cui non vedevi girare più nessuno da anni, e se te ne provavi qualcuno per ridere a volte ci trovavi dentro un topo morto, probabilmente dal freddo e dalla fame; infatti d'inverno non accendeva neanche il riscaldamento e si metteva una busta di nylon in testa per stare caldo, faceva un freddo tremendo in quel negozio, c'erano 2 o 3 gradi in genere.
Aveva però una dieta antigelo, che seguiva anche d'estate; beveva un bicchierino di liquore all'uovo al mattino per colazione con qualche biscotto, poi a mezza mattina beveva un cognac perché diceva fa bene al cuore, poi a pranzo vino rosso in abbondanza con alla fine un caffè corretto con grappa e poi un amaro per digerire meglio, al pomeriggio una o due birre in lattina che dissetano, a cena ancora vino, poi andava all'osteria a bere il resto.
In negozio giocava continuamente alle parole crociate per ingannare il tempo, ma le faceva a modo suo.
C'era la definizione: Capoluogo della regione Lombardia.
Lui scrisse: Lupppo.
E io chiesi: - Ma perché hai scritto Lupppo con 3 p?
Lui: - Perché con una p non ci sta.
- Ma andava scritto Milano, non vedi che ci sta giusto.
Lui: - Avevo voglia di scrivere Lupo lì.
Oppure un'altra volta c'era la definizione: E' stata amante di Ulisse.
e lui scrisse Sarag.
Gli chiesi che significava Sarag.
Mi disse: - Saragat.
Io: - Ma era il Presidente della Repubblica, invece era Circe che è stata l'amante di Ulisse, guarda che ci sta, ci entra giusto il suo nome.
Lui: - Ma lo sarà stato anche Saragat e ci sta il nome, basta non scrivere le ultime lettere.
Io -Che poi adesso c'è Leone che è Presidente, e ci stava nelle caselle.
Lui: - Vero. Leone ci sta.
Corresse scrivendo Leone.
Era un naif-dadaista.


domenica 7 dicembre 2014

398 - TRASFORMAZIONI

Ero vivace,
sempre attivo e combattivo
vestivo  eccentrico
avevo idee fuori dagli schemi
ero  fuori da ogni catalogo
e spaventavo
dei ragazzini scappavano vicino alle loro mamme
dei reazionari hanno tentato di ammazzarmi
delle forze dell'ordine mi pedinavano e denunciavano,
ma gli amici mi stimavano.

Però nel passare degli anni
andando controcorrente
mi sono ritrovato solo
qualcosa si è spento
lentamente
mi sono chiuso
depresso
dentro di me
e col tempo ho assunto altre sembianze,
quelle di un timido impiegato parastatale,
di quelli sepolti in qualche ufficio inutile,
che trascorrono giorni, mesi, anni tutti uguali,
nascosti alla vita
fregandosene della vita
fregati dalla vita
attendendo di predare una pensione
tra infiniti caffè alla macchinetta,
infinite chiacchiere sul calcio
e infinite seghe sui siti porno
durante l'orario di lavoro.

Il problema più grave
è che nemmeno lavoro
e niente pensione,
sembro uno di loro senza esserlo,
un cesso completo sarei
se non che per fortuna
scrivo
qualcosa andando a capo spesso,
lo spaccio per poesia sul web
e mi considero un artista.

Il suicidio aspetta
o c'è già stato
o più probabilmente non si esiste
mai abbastanza.



sabato 6 dicembre 2014

397 - poesie per tutti

La poesia è infiniti generi e sfumature, come le musica, la pittura, e ogni forma d'arte; ognuno se ha una sua poesia la deve esprimere, poi qualcuno, fosse anche solo lui stesso, può trovarci qualcosa dentro che gli dà più di altre famose, celebrate e ben scritte; ed è anche per questo che trovo assurdi i concorsi di poesia con vincitori e vinti, non è una corsa a chi arriva prima, ma sono parole che entrano nella mente e con cui puoi essere in sintonia o meno, sono gusti soggettivi, perciò non saranno mai oggettivi.

giovedì 4 dicembre 2014

396 - Il commerciante di stoffe (racconto breve)

C'era in paese un commerciante di stoffe, alto, longilineo, aveva i capelli brizzolati pettinati all'indietro con la brillantina e il baffo brizzolato, sempre vestito elegante, con completi grigi a quadri in tessuto Principe di Galles, camicia di solito bianca e con la cravatta a disegnini sul giallo o sul rosso, d'inverno aveva vestiti simili ma in stoffa più pesante e tra la camicia e la giacca spuntava un maglione con collo a V abbinato al colore della cravatta, se era gialla il maglione era giallo, se era rossa era rosso.
Il suo era un ampio negozio, con le pareti interamente occupate da alte scaffalature in legno rossiccio che sembrava il legno di un veliero, erano scaffalature piene di variopinte stoffe, il bancone in legno identico alle scaffalature era di fronte all'entrata davanti alla zona dove c'era una serie infinita di cassettini in legno, col pomello color ottone e con attaccata ad ognuno una piccola etichetta in cartoncino con delle lettere e dei numeri incomprensibili, che solo lui capiva.
Delle volte passavo per prendere qualcosa per mia nonna o mia mamma, magari 4 bottoni uguali a quello che mi davano da mostrare, o del filo che avevano finito di una certa tonalità, di cui avevo un pezzetto.
Lui inforcava gli occhiali per vedere da vicino, prendeva con fare sapiente il pezzetto di filo, lo osservava con cura, come un chirurgo analizza la parte dove deve operare, poi si voltava e apriva un cassettino a colpo sicuro, tirava fuori le spagnolette dello stesso colore e tonalità, e tra quelle tonalità che a me sembravano tutte uguali lui ne sceglieva una che lui sapeva che era solo lei quella giusta, ecco che ti porgeva una spagnoletta di filo identico, non cambiava di una minima sfumatura, potevi farlo analizzare anche dalla Nasa ed era un filo identico a quello che avevi fatto vedere, solo quello era veramente il tuo colore e solo lui sapeva tirarlo fuori dall'interno di quella specie di negozio-veliero, quei magici cassettini in legno rossiccio sembrava contenessero tutti i colori dell'universo, e lui era l'esperto capitano che navigava tra i colori di ogni arcobaleno possibile in tutte le galassie per porgerti qualsiasi colore desideravi.
Il denaro non lo toccava, non lo riguardava, si doveva andare alla fine del bancone in cui c'era uno stretto e alto registratore di cassa in metallo nero, dietro c'era nascosta una donna piccola e magra, sempre silenziosa che neanche ti accorgevi ci fosse, era sua moglie, lui le diceva "Batti 200" e lei batteva sulla tastiera del registratore di cassa, dei numeri bianchi in cima al registratore indicavano 200, "200 lire" diceva lei, le davi la moneta da 200 e lei diceva "Grazie e arrivederci" porgendoti uno scontrino con su scritto "200 lire. Grazie e arrivederci", non l'ho mai sentita dire altre parole che non fossero quelle poi ripetute sullo scontrino, sembrava sotto effetto di stupefacenti con lo sguardo dilatato nell'ammirare quel suo marito che pareva la sola ragione di vita che aveva, si annullava nell'ammirazione del marito, penso che il registratore di cassa fosse una scusa non essendo ancora obbligatorio non ce l'aveva quasi nessuno, serviva solo per la contabilità interna, ma essendo solo loro due, non essendo un negozio con decine di commessi, pareva solo una scusa per stare vicina al marito anche durante il giorno, potendo così guardarlo continuamente, ammirata e ammutolita.
Nel mentre uscivi lui ti salutava con un "Arrivederci" accompagnato da un discreto sorriso e da un piccolo svelto gesto della mano, che sfiorava la fronte e si dirigeva verso la tua direzione, come a simulare che si toglieva un cappello che non aveva in tuo onore mentre uscivi dal negozio.
Anche quando entravo, nonostante fossi un ragazzino spesso spettinato, vestito male e di frequente ero accompagnato da un paio di amici teppisti che già fumavano, rubavano motorini e giravano col coltello in tasca, lui ugualmente quando entravamo ci salutava con un cordiale "Buongiorno, in che modo posso soddisfarvi?" Finché percepì di risposta un sussurrato troppo forte "Puoi ciucciarci il cazzo" da un mio amico, così gli fece modificare la frase di saluto limitandola a un secco "Buongiorno", e spariva anche la cordialità quando ci vedeva.
Pochi anni dopo suo figlio si mise a spendere per fare la bella vita, macchine sempre nuove, giocava d'azzardo, sniffava e faceva debiti in giro, lui iniziò a pagare i debiti che faceva il figlio, nel frattempo la gente aveva iniziato ad andare meno dai sarti e si compravano vestiti già confezionati, gli affari calavano, finché non fallì, e il figlio visto che i soldi erano finiti se ne andò all'estero.
La moglie ammiratrice si ammalò e lui per guadagnare qualcosa si mise a vendere i bottoni e il filo da cucire davanti all'ingresso della palazzina dove abitava, con un tavolino minuscolo da picnic, sembrava da lontano un bambino che si era messo a vendere i giornalini di fumetti, ma avvicinandoti notavi che era un bambino ultrasessantenne col vestito e la cravatta, con sul tavolino qualche bottone, delle multicolori spagnolette di filo e alcune scatoline d'aghi; d'inverno col freddo si metteva dentro nell'androne interno, sotto le scale, per cui se andavi a trovare qualcuno nella palazzina quando iniziavi a far le scale per salire sentivi: "Mi scusi, mi scusi". Guardavi da dove proveniva la voce e vedevi la sua testa ormai canuta sporsi da sotto le scale, tra i manubri e le selle delle biciclette degli inquilini, "Buongiorno, mi scusi se la disturbo, se ha bisogno di materiale per cucire ho dei prezzi vantaggiosi"
Rispondevo: "No, grazie, non mi serve", qualche volta scendendo dicevo che mi sono ricordato che mi serve una spagnoletta di filo bianco o blu e la portavo a casa a mia mamma, anche se ne aveva già, era tanto per lasciargli qualcosa.
Dopo un po' morì la moglie, cominciò a farsi vedere vestito male con una faccia depressa, sembrava un senzatetto della stazione, era lei l'artefice della sua eleganza e quella che gli dava l'energia per combattere anche nei momenti più difficili.
Alcuni mesi dopo notai che quando scendevi dalle scale non si ricordava più di averti già visto, ripeteva da capo quanto ti aveva detto prima; da lì a poco non lo vidi più, mi dissero che gli avevano diagnosticato la demenza senile e lo avevano portato nell'ospizio dei poveri, quello dove l'odore di piscio si sente già dalla strada.
Ora al posto del suo negozio c'è una gelateria con gli interni blu e dei banali disegni di personaggi dei cartoon sui muri, per rallegrare i bambini teledipendenti; prevalgono i prodotti industriali preconfezionati e pervade il desiderio di essere uguali agli altri, anche quando ci si veste; perciò credo che fosse più importante di quel che si crede quel qualcosa che abbiamo perso, tra i sottoscala e gli ospizi dimenticati, mentre ogni veliero dell'immaginazione è svanito per sempre, immerso tra gli infiniti colori possibili nell'universo.