Se apprezzate e volete offrirmi una birra o una pizza, vi ringrazio immensamente:

domenica 21 aprile 2013

268 - Territorio tipico




Desertica pianura
terra bruciata
cielo azzurro con sfumature oleose
bianchi gabbiani
scendono a mangiare rifiuti tossici
nel panorama
con più pali della luce che alberi
bruciare, bruciare, bruciarsi
spero mi salvi la colazione
con tè verde biologico
fatto con l'acqua radioattiva
e biscotti integrali
ripieni di diossina
ed esco all'aria aperta del mattino
col sorriso fluorescente
guardo all'orizzonte
l'alba sulla strada statale
cemento e asfalto con variopinti tir
pieni di morti e di denaro
passano, ripassano, trapassano
mentre mi piscia su una scarpa
un cane randagio infestato dai parassiti
scambiandomi per l'unico albero
inesistente.

267 - Esche sessuali

Plastica colorata e finto divertimento
mentre mangi
ti strofinano la figa in faccia
ventenni veline danzanti
esche della società
che ti amerà
se compri prodotti
che ti ammazzerà
se sei senza soldi.
Non esisterai se non hai
se non ti inserisci nel gioco
nel giogo.
E se resti fuori
voilà pour toi
alcol e stupefacenti
per il tuo malessere di escluso
per dare a loro la possibilità
di emarginarti
di controllarti
di catalogarti
di bastonarti
di annullarti.
Voltagli le spalle
guardami negli occhi
dammi la mano
e andiamo, ostinati e contrari.



sabato 20 aprile 2013

266 - Pie illusioni



Spesso quando scrivo qualcosa cerco di sparare ad alzo zero e a 360° su tutto e tutti, compreso me stesso; cerco di far notare le assurdità e le contraddizioni che ci circondano, le violenze che infliggiamo o ci autoinfliggiamo col nostro comportamento, lo faccio con la pia illusione di poter cambiare qualcosa.
Sono solo un credulone e romantico con 2 baffi da uomo, rasati benissimo.


265 - Colloquio di lavoro



Telefonare, telefono.
Vestirsi bene, mi vesto bene.
Andare, vado.
Parcheggiare, parcheggio.
Entrare, entro.
Spingere, spingo.
Rivolgersi alla reception, mi rivolgo alla reception.
Graziose scimmiette ammaestrate, una mi dice di accomodarmi e aspettare, mi accomodo e aspetto.
Aspetto. Vedo passare facce represse con comportamenti da repressi.
Questa democrazia è scegliere tra le opzioni imposte.
Aspetto e aspetto prigioniero della situazione.
Guardo fuori e vedo che c'è ancora il cielo, tra il cemento del piazzale spunta qualche pianta, vedere che c'è ancora vita su questo pianeta mi fa star meglio. Finalmente in ritardo arriva un falso mezzo sorriso di superiorità con una mano protesa dicendomi: - Piacere!
- Piacere stocazzo! - Rispondo, e senza dare la mano mi alzo e me ne vado.
Per oggi ne ho avuto abbastanza, forse domani.

venerdì 19 aprile 2013

264 - La gente



La lama accarezza piatta la guancia, fredda e lenta, lo sguardo si abbassa e guarda all'altezza del proprio cazzo che svetta dai pantaloni abbassati, un ordine con gli occhi, una voglia di comandare, di prendersi la propria razione di benessere dopo miliardi di umiliazioni, la voglia di rubare qualcosa che non potresti mai permetterti dallo scaffale, l'oggetto del desiderio si chiama Sonia, un oggetto scelto casualmente, visto e piaciuto nel parcheggio alle 23.42 di questo inverno nebbioso, luci arancioni dai lampioni illuminano l'oggetto del desiderio, una ragazza bionda e magra di 24 anni che dopo gli straordinari in ufficio non immaginava di doverne fare degli altri con un pene straniero gonfio in bocca al sapore di piscio, lui ansima dicendo parole che non comprende, la tira per i capelli, alzandola con forza, girandola sopra il cofano della macchina, premendole la faccia sulla lamiera gelata e abbassandole i calzoni, la penetrazione avviene brusca nella vagina ancora secca di paura, male, dolore che si espande nella nuvola di vapore del respiro dilatandosi sulla lamiera del cofano, lui le ansima sui capelli, con il coltello comincia a tagliarle i capelli e lei si impaurisce ancor di più, si agita, comincia a dimenarsi con tutte le forze, ......
Sonia si sveglia, vede le 7.42 sul display verde della radiosveglia, esausta dell'ennesimo incubo del cazzo, ogni notte dopo poche ore l'incubo di essere violentata si ripropone e ogni volta le tagliano i capelli, ma quel che è peggio è il risveglio, l'accorgersi che il corpo non è più magro, gli anni sono 44 e i capelli non ci sono più, un taglio chemio lo chiama, una pelata,  ogni mattina se la ripassa col rasoio per farla sembrare di più una vera pelata, per far credere a tutti di avere un cancro, ottenendo finalmente una parola gentile, uno sguardo buono, e non il solito sguardo di disprezzo per i suoi 134 chili.
Si alza, si guarda allo specchio, una cicciona di 134 chili pelata che finge un cancro per non essere disprezzata dalla gente, che sogna di essere violentata per sublimare in un impaurito incubo la voglia di sesso.
Vede un corpo che odia, una persona stupida e falsa che odia, le viene voglia di andare alla finestra, e la voglia si delinea, un volo sul marciapiede gelato di gennaio sottostante prende forma nel cervello, avrebbe un consenso sociale, qualcuna direbbe poveretta aveva un cancro non ce l'h fatta, nessuno sorriderebbe più vedendo il suo enorme corpo.
Ma all'improvviso una domanda affiora nella mente, una domanda che fa crollare tutto, che devasta ogni suo pensiero, che squarcia ogni timore:
perché?
Perché fare così? Perché piegarsi alla gente che la circonda? Perché farsi schiacciare dalle convenzioni sociali? Perché vergognarsi del proprio corpo se non aderisce alla immagine a cui bisogna adeguarsi?
La vita scorreva senza di lei, una obesa ripudiata dalla società, costretta a contorsioni mentali, a fingersi malata, chiusa in casa, rinchiusa a sognare cazzi schifosamente violenti.
Tutto per la gente, per i loro sguardi, per i loro sorrisi, per essere considerata da loro.
Sale un violento odio che le scalda il corpo, odio per se stessa e per la gente, per tutto e tutti.
Lei era considerata come una merda, si rende conto di essere come una schifosa schifosissima nauseante merda per la gente, stessa valenza sociale, si siede a piangere sul water, comincia a cagare, la raccoglie con le mani e inizia a spalmarsela sul corpo, come una crema snellente antietà, di quelle che pubblicizzano alla televisione, una crema miracolosa che risolve tutti i tuoi problemi, se la passa ovunque, si alza e si guarda nello specchio, marrone e puzzolente dalla testa calva ai piedi, adesso sì che potevano dire che faceva schifo, che avevano ragione di schifarla.
Decide che da questo momento si preparerà sempre così per uscire.
Sono le 8.42.
Si veste, esce a fare la spesa.
E' contenta.
Finalmente avrebbe sorriso anche lei se la guardavano schifati e le dicevano: "Cicciona di merda".

mercoledì 17 aprile 2013

263 - Sempre i migliori se ne vanno

Assomigliava molto a Lucio Battisti da giovane.
Piccolino, ricciolino, bellino con cappottino blu e camicia bianca, elegante e sorridente vendeva l'eroina nel parcheggio di fianco alla discoteca, aveva una borsa in pelle con dentro anche acqua e siringhe per i clienti che ne fossero stati sprovvisti, chiedeva che effetto aveva fatto la volta scorsa , così sistemava la dose, ad Angelo la faceva tagliata con la coca, creava la droga su misura come un sarto, aumentava gradualmente la percentuale di coca perché lo vedeva ancora troppo giù, un altro po' e abbiamo trovato il giusto equilibrio disse, sembrava di parlare con un dottore, era un grande spacciatore, il migliore.
Ma questo era il problema, tutti lo cercavano, in tre mesi aveva fatto il pieno di gente che lo seguiva come un messia.
All’inizio del quarto mese di attività lo infamarono e ingabbiarono, non si vide mai più.
Sparito per sempre.
Così la dose perfetta non si concretizzò, come un sogno mai realizzato, un'utopia svanita nelle pieghe del tempo.
Sempre i migliori se ne vanno.
Dalla delusione molti smisero.



domenica 14 aprile 2013

262 - Torno in nero


Camminando spettinato nei pensieri dalle costellazioni, lungo il bagnasciuga di notte, sto seguendo una via lattea di conchiglie e di pensieri spersi, nei riflessi lunari sulle onde colgo rimandi ai miei ricordi, mentre lo sciacquio marino ridà vita a momenti persi.
Correvo sulla spiaggia, correvo nella vita.
Mi metto seduto su un vecchio e grosso tronco trasportato qui da chissà dove, solo qualche luce all'orizzonte mi ricorda che ci sono altre persone su questo pianeta, sono sempre stato meglio da solo, e spesso lo sono, anche quando sono in compagnia.
Penso a un anno memorabile della mia vita,  mi rispondo: il 1981; era stato un inverno freddo, seguito dalla primavera più calda che si ricordasse, una piena estate torrida anticipata in maggio, in estate dei temporali che facevano calare la temperatura di 15 gradi in pochi minuti, un autunno umido e malinconico, e un inverno che sapeva di fine del mondo.
Ma ogni momento aveva un sapore come fosse sia il primo che l'ultimo della vita.
Che anno l'ottantuno!
Mi ridesto dai pensieri e mi arriva come una secchiata d'acqua fredda in faccia l'anno 2013.
Magari è un buco spaziotempo da cui sono uscito.
Trentadue anni sono una vita ma per me sono passati più veloci che se fossero giorni.
O era allora che il tempo mi marchiava a fuoco, dentro, secondo per secondo, mentre poi è calata una nebbia in cui si vaga confusi e distratti.
Troppa televisione da allora è entrata nelle menti, direbbe qualcuno.
Gli anni che passano, si fanno uguali e veloci, mentre tu smarrito diventi un semplice passeggero del tempo, guardi dal finestrino, ogni tanto scendi ma ti scopri ancora più smarrito, e ritorni nel tuo rifugio a guardare con sempre maggiore distacco lo scorrere della vita.
Sento nella mente i rintocchi delle campane a morto, vengono dagli infuocati ricordi del 1981, una canzone sentita per la prima volta, era per il cantante precedente morto, Bon Scott, il nuovo cantante Brian Johnson e il gruppo gli stavano cantando le campane dell'inferno, in suo onore.
Hells Bells.
E risento la vita riscorrere.