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lunedì 19 febbraio 2018

661 - UN MANIFESTANTE A DISAGIO

Non vado mai alle manifestazioni, sono abbastanza orso solitario e mi trovo male nei raggruppamenti, ma è anche perché abito in un paesino isolato tra i campi di mais e frumento della pianura padana, in pratica dovrei manifestare da solo o convincere a manifestare con me il mostro del fiume con qualche extraterrestre, visto che prediligono queste zone e sono avvistati più che altrove.
Solo una volta ai tempi delle superiori partecipai a un corteo, di studenti e lavoratori uniti.
Essendo quando sono tra la gente caratterialmente una specie dell'amico di Fantozzi, il ragionier Filini, passo dalla timidezza al protagonismo totale,  per cui voglio organizzare e decidere io cosa fare. Quel giorno appena arrivato ero in modalità protagonista, vedendo che si stavano organizzando sono andato io a dire di fare questo o quello, anche a gente che aveva il triplo dei miei anni, mi guardavano strano ma vendendomi deciso e sicuro di me avranno pensato che la sapessi lunga. Invece era la prima manifestazione che organizzavo, non ne sapevo un cazzo ma mi ero autoproclamato organizzatore.
A quelli con lo striscione che mi piaceva di più dissi di mettersi davanti, ad aprire il corteo, poi, discutendo con gli altri a capo degli studenti e dei lavoratori, finirono per posizionarsi tutti come dicevo io, e non avevo neanche torto, perché tenendo più distanza tra i vari partecipanti, poi facendo dei vuoti nel corteo seguiti da uno striscione, con dietro altra gente, sembravamo il doppio di quelli che eravamo. C'era allora nei cortei anche una specie di servizio d'ordine, quelli più grandi e grossi si mettevano in modo da tenere sotto controllo la situazione, sia per "calmare" i facinorosi che per eventuali scontri con le forze dell'ordine; volevano metterli che precedessero il corteo facendo spazio affinché passassimo, io invece consigliai di mettere una parte del servizio d'ordine subito dietro lo striscione che apriva il corteo, così potevano passare più inosservati, lo striscione si vedeva meglio e avevamo un aspetto più pacifico; ma allo stesso tempo se succedevano dei problemi quelli del servizio d'ordine erano lì davanti a tutti, pronti.
Intervenne una ragazza femminista, disse che davanti ci dovevano stare anche delle donne, le diedi ragione, cosi si misero a reggere il primo striscione anche delle donne.
In quel momento che si era prossimi a partire sentii che mi calava l'adrenalina, stavo tornando il ragazzino timido e riservato. Cercai di andare verso le posizioni più arretrate, ma sentii il braccio sinistro bloccato in una morsa. Era un enorme operaio: "Dove vai? Mettiti qui davanti con noi!".
Mi diede in mano lo striscione che apriva il corteo, e si mise accanto a me. Mi credeva un rappresentante degli studenti e, credendo di farmi un piacere, voleva che fossi lì, in prima fila.
Partì il corteo.
Si doveva percorrere una strada stretta e lunga tra palazzi vecchi, nel centro storico.
Davanti c'erano diversi fotografi che facevano continuamente foto col flash, la celere ci precedeva guardandoci con sguardo minaccioso.
Mi sentivo fuori posto a urlare gli slogan, non mi veniva, poi il fatto che mi fotografassero continuamente a pochi metri mi faceva salire una notevole ansia, non ne potevo più di stare lì.
Dissi all'operaione a mio fianco che mi scappava da urinare, mi allontanavo e poi tornavo, mi fece un cenno di assenso.
Mi defilai e mi allontanai per uno strettissimo vicolo laterale.
Raggiunsi dopo poco un bar con sala da biliardo dove c'erano dei tipi che conoscevo, così passai il resto del tempo a giocare a biliardo e a flipper, ascoltando la musica dal jukebox, leggendo il giornale e sgranocchiando patatine fritte.
Stavo benissimo lì, era il mio ambiente naturale; mentre prima al corteo mi sentivo fuori posto, ero il classico pesce fuor d'acqua.
C'era una canzone sul jukebox che mi pareva adatta per me in quel momento, era "Nel ghetto" di Alberto Radius, aveva parole che sentivo mie, mi fulminavano:
"Manca l'aria,
manca un grido,
manca un dio,
sulla strada solo io.

La miseria
dei cervelli del fair-play
mi vorrebbe come lei

Io non ho cultura ma non voglio stare male,
che si arrangi chi ha paura del caviale.

E bruciare tutto
non è sempre così brutto
come leggi il giorno dopo sul giornale

E no,
io non ci sto!
E no,
io non ci sto!
Lasciatemi nel ghetto ancora un po'…

Io non ho un partito,
non mi basta il sindacato,
un lavoro non me l'hanno mai trovato.

La riconversione non mi sembra una ragione
per confondere
lo schiavo col padrone

L'intellettuale
sfrutta come paravento
"la congiura dell'isolamento",
dice dal palazzo
cosa è male cosa è bene,
io da perdere ho soltanto le catene

E no,
io non ci sto!
E no,
io non ci sto!
Lasciatemi nel ghetto ancora un po' "
Era uno che non si accontenta di stare agli ordini del partito a fare una vita grama, vuole prendersi la sua parte; "...si arrangi chi ha paura del caviale..." mi risuonava nel cervello, era quella la differenza tra me e gli altri, loro contestavano e condividevo ciò, ero solidale con loro; ma poi avevano paura a stare bene, avevano quella falsa convinzione che il socialismo sia fare una vita povera. Invece è il contrario per me, è un benessere diffuso per tutti, senza sfruttamenti e sfruttatori di nessun tipo, ed è solo in Italia che ha preso piede quel misto di comunismo malinteso e cristianesimo francescano, che considerano il benessere una cosa riprovevole o un peccato. Supportati in questo dagli intellettuali da palazzo della finta sinistra, col culo caldo, facenti parte della classe dominante, che supportano questa versione che fa tenere più buona la gente sfruttata, nella miseria. Non è così, è il malessere che io non vorrei più vedere, vorrei che tutti fossero benestanti e avessero ciò che è necessario a fare una bella vita.
Mi sentii meglio, mi sentivo meno solo con le mie idee.
Andando a prendere le corriera per tornare nel mio paese però temevo di incontrare quelli della manifestazione e che mi rimproverassero o menassero perché ero andato via, così andai a prenderla dall'altra parte, a una fermata un paio di chilometri da quella principale.
Feci tutta quella strada in più a piedi, pur di evitare le probabili critiche e/o botte.
Non mi sentivo un traditore, avevo sbagliato solo a voler essere protagonista di qualcosa che non mi apparteneva. Pensavo che ero destinato ad altre forme di azione politica, come quella di divulgare nei bar le ragioni della manifestazione, infatti nella sala biliardo avevo spiegato le motivazioni a quelli che c'erano che non sapevano nemmeno per cosa si manifestasse, ed erano tutti d'accordo, avevo fatto il mio dovere. Poi avevo anche dato un  contributo organizzativo prima di partire, non sentivo sensi di colpa.
Il giorno dopo sul giornale c'erano le foto, ma quelle successive, non c'ero io in prima fila.
Un po' mi dispiacque, perché pensai che poteva darmi più visibilità per abbordare le ragazze di sinistra, e solo per quello sentii di aver perso un'occasione.