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giovedì 4 dicembre 2014

396 - Il commerciante di stoffe (racconto breve)

C'era in paese un commerciante di stoffe, alto, longilineo, aveva i capelli brizzolati pettinati all'indietro con la brillantina e il baffo brizzolato, sempre vestito elegante, con completi grigi a quadri in tessuto Principe di Galles, camicia di solito bianca e con la cravatta a disegnini sul giallo o sul rosso, d'inverno aveva vestiti simili ma in stoffa più pesante e tra la camicia e la giacca spuntava un maglione con collo a V abbinato al colore della cravatta, se era gialla il maglione era giallo, se era rossa era rosso.
Il suo era un ampio negozio, con le pareti interamente occupate da alte scaffalature in legno rossiccio che sembrava il legno di un veliero, erano scaffalature piene di variopinte stoffe, il bancone in legno identico alle scaffalature era di fronte all'entrata davanti alla zona dove c'era una serie infinita di cassettini in legno, col pomello color ottone e con attaccata ad ognuno una piccola etichetta in cartoncino con delle lettere e dei numeri incomprensibili, che solo lui capiva.
Delle volte passavo per prendere qualcosa per mia nonna o mia mamma, magari 4 bottoni uguali a quello che mi davano da mostrare, o del filo che avevano finito di una certa tonalità, di cui avevo un pezzetto.
Lui inforcava gli occhiali per vedere da vicino, prendeva con fare sapiente il pezzetto di filo, lo osservava con cura, come un chirurgo analizza la parte dove deve operare, poi si voltava e apriva un cassettino a colpo sicuro, tirava fuori le spagnolette dello stesso colore e tonalità, e tra quelle tonalità che a me sembravano tutte uguali lui ne sceglieva una che lui sapeva che era solo lei quella giusta, ecco che ti porgeva una spagnoletta di filo identico, non cambiava di una minima sfumatura, potevi farlo analizzare anche dalla Nasa ed era un filo identico a quello che avevi fatto vedere, solo quello era veramente il tuo colore e solo lui sapeva tirarlo fuori dall'interno di quella specie di negozio-veliero, quei magici cassettini in legno rossiccio sembrava contenessero tutti i colori dell'universo, e lui era l'esperto capitano che navigava tra i colori di ogni arcobaleno possibile in tutte le galassie per porgerti qualsiasi colore desideravi.
Il denaro non lo toccava, non lo riguardava, si doveva andare alla fine del bancone in cui c'era uno stretto e alto registratore di cassa in metallo nero, dietro c'era nascosta una donna piccola e magra, sempre silenziosa che neanche ti accorgevi ci fosse, era sua moglie, lui le diceva "Batti 200" e lei batteva sulla tastiera del registratore di cassa, dei numeri bianchi in cima al registratore indicavano 200, "200 lire" diceva lei, le davi la moneta da 200 e lei diceva "Grazie e arrivederci" porgendoti uno scontrino con su scritto "200 lire. Grazie e arrivederci", non l'ho mai sentita dire altre parole che non fossero quelle poi ripetute sullo scontrino, sembrava sotto effetto di stupefacenti con lo sguardo dilatato nell'ammirare quel suo marito che pareva la sola ragione di vita che aveva, si annullava nell'ammirazione del marito, penso che il registratore di cassa fosse una scusa non essendo ancora obbligatorio non ce l'aveva quasi nessuno, serviva solo per la contabilità interna, ma essendo solo loro due, non essendo un negozio con decine di commessi, pareva solo una scusa per stare vicina al marito anche durante il giorno, potendo così guardarlo continuamente, ammirata e ammutolita.
Nel mentre uscivi lui ti salutava con un "Arrivederci" accompagnato da un discreto sorriso e da un piccolo svelto gesto della mano, che sfiorava la fronte e si dirigeva verso la tua direzione, come a simulare che si toglieva un cappello che non aveva in tuo onore mentre uscivi dal negozio.
Anche quando entravo, nonostante fossi un ragazzino spesso spettinato, vestito male e di frequente ero accompagnato da un paio di amici teppisti che già fumavano, rubavano motorini e giravano col coltello in tasca, lui ugualmente quando entravamo ci salutava con un cordiale "Buongiorno, in che modo posso soddisfarvi?" Finché percepì di risposta un sussurrato troppo forte "Puoi ciucciarci il cazzo" da un mio amico, così gli fece modificare la frase di saluto limitandola a un secco "Buongiorno", e spariva anche la cordialità quando ci vedeva.
Pochi anni dopo suo figlio si mise a spendere per fare la bella vita, macchine sempre nuove, giocava d'azzardo, sniffava e faceva debiti in giro, lui iniziò a pagare i debiti che faceva il figlio, nel frattempo la gente aveva iniziato ad andare meno dai sarti e si compravano vestiti già confezionati, gli affari calavano, finché non fallì, e il figlio visto che i soldi erano finiti se ne andò all'estero.
La moglie ammiratrice si ammalò e lui per guadagnare qualcosa si mise a vendere i bottoni e il filo da cucire davanti all'ingresso della palazzina dove abitava, con un tavolino minuscolo da picnic, sembrava da lontano un bambino che si era messo a vendere i giornalini di fumetti, ma avvicinandoti notavi che era un bambino ultrasessantenne col vestito e la cravatta, con sul tavolino qualche bottone, delle multicolori spagnolette di filo e alcune scatoline d'aghi; d'inverno col freddo si metteva dentro nell'androne interno, sotto le scale, per cui se andavi a trovare qualcuno nella palazzina quando iniziavi a far le scale per salire sentivi: "Mi scusi, mi scusi". Guardavi da dove proveniva la voce e vedevi la sua testa ormai canuta sporsi da sotto le scale, tra i manubri e le selle delle biciclette degli inquilini, "Buongiorno, mi scusi se la disturbo, se ha bisogno di materiale per cucire ho dei prezzi vantaggiosi"
Rispondevo: "No, grazie, non mi serve", qualche volta scendendo dicevo che mi sono ricordato che mi serve una spagnoletta di filo bianco o blu e la portavo a casa a mia mamma, anche se ne aveva già, era tanto per lasciargli qualcosa.
Dopo un po' morì la moglie, cominciò a farsi vedere vestito male con una faccia depressa, sembrava un senzatetto della stazione, era lei l'artefice della sua eleganza e quella che gli dava l'energia per combattere anche nei momenti più difficili.
Alcuni mesi dopo notai che quando scendevi dalle scale non si ricordava più di averti già visto, ripeteva da capo quanto ti aveva detto prima; da lì a poco non lo vidi più, mi dissero che gli avevano diagnosticato la demenza senile e lo avevano portato nell'ospizio dei poveri, quello dove l'odore di piscio si sente già dalla strada.
Ora al posto del suo negozio c'è una gelateria con gli interni blu e dei banali disegni di personaggi dei cartoon sui muri, per rallegrare i bambini teledipendenti; prevalgono i prodotti industriali preconfezionati e pervade il desiderio di essere uguali agli altri, anche quando ci si veste; perciò credo che fosse più importante di quel che si crede quel qualcosa che abbiamo perso, tra i sottoscala e gli ospizi dimenticati, mentre ogni veliero dell'immaginazione è svanito per sempre, immerso tra gli infiniti colori possibili nell'universo.



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